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DEBITO PUBBLICO

DEBITO PUBBLICO E DEBITO PRIVATO
Non diversamente dalle famiglie, anche lo Stato contrae dei debiti con dei soggetti vari (dai cittadini alle Istituzioni internazionali), impegnandosi a ripagare quando chiesto con gli interessi, il cui tasso riflette l'andamento del mercato in quel momento. Se una famiglia ha come impieghi alternativi del proprio risparmio dei titoli del debito pubblico nazionale o delle obbligazioni di una società, sceglierà sulla base della remunerazione, tenendo anche conto del fattore di rischio.
Mentre è possibile (infrequente, ma comunque una evenienza da considerare) che una società dichiari bancarotta e non riesca ad onorare le obbligazioni contratte, ben più difficile (e caso assai raro) è che uno Stato "fallisca" e non riesca ad onorare il proprio debito pubblico nei confronti dei cittadini. L'investimento in titoli di Stato è dunque generalmente più sicuro rispetto ad altre forme di impiego, e per questo il tasso di interesse che si forma sul mercato è in genere inferiore, pur seguendone la curva dell'andamento.
Il debito pubblico sottrae risorse destinate agli investimenti privati, in quanto una quota di tutto il risparmio nazionale, anziché finanziare le attività di imprese (le obbligazioni, nell'esempio precedente) viene assorbito dal settore pubblico, che lo impiega per le proprie finalità.
Le modalità di finanziamento principali delle attività pubbliche, semplificando, sono di tre tipi: attraverso le imposte, contraendo debito pubblico e stampando nuova cartamoneta.
Il debito pubblico diventa dunque una delle eventuali scelte in capo al Governo di un paese per pagare le proprie attività, ordinarie e straordinarie, di consumo e di investimento, reali e finanziarie.
La spesa pubblica è un aggregato indistinto, all'interno della quale vanno a finire molti capitoli tra loro assai diversi. È bene introdurre uno schema semplificativo delle possibili attività, in relazione alla loro natura o finalità.
In caso di eventi eccezionali, ogni risorsa possibile deve essere destinata a fare fronte alle emergenze create. E' il caso di una guerra, ad esempio: per pagare il costo delle operazioni belliche, ogni Stato nella storia ha fatto in modo che l'intera produzione nazionale, il sistema economico e finanziario avesse come pressoché unica finalità la salvezza collettiva della nazione, ossia che tutte le scelte di consumo, risparmio ed investimento, pubbliche ma anche private, venissero adottate nell'ottica della salvaguardia dei supremi interessi collettivi minacciati dalla guerra. Casi simili possono ritrovarsi in cataclismi (si pensi all'eruzione di un vulcano per un piccolo Stato-isola) o altri eventi assolutamente eccezionali che mettono in pericolo l'esistenza stessa della collettività di persone.
Nei periodi di pace, come quello presente, le risorse private sono destinate ad un uso privato: le logiche di funzionamento dell'economia, prima sospese, riprendono a funzionare correttamente. Lo Stato sottrae le risorse necessarie alla propria attività, ma non assoggetta l'intero sistema produttivo ai suoi bisogni.
In questi periodi si possono finanziare consumi correnti dello Stato, oppure investimenti in beni che sono direttamente o indirettamente necessari alla produzione. I consumi correnti sono, come per i privati, i beni ed i servizi che vengono resi "una tantum" (si pensi agli stipendi del personale, oppure più semplicemente all'acquisto di carta per i certificati, e via dicendo). Accanto ad essi vi sono anche gli investimenti, ossia quella parte di risorse che sono destinate a durare nel tempo e che costituiscono il "patrimonio pubblico": tali risorse saranno utilizzate per i propri bisogni da cittadini ed imprese. Lo Stato può decidere di smettere di finanziare la costruzione di edifici, ferrovie, strade, ma il sistema è destinato a non evolversi: impiegare risorse per investimenti pubblici da ritorni di lungo periodo che sono vitali per la prosperità della nazione. Lo Stato poi può utilizzare i soldi che ha per pagare o beni e servizi che definiamo "reali" (l'espressione non è corretta, vi debbono rientrare anche i servizi immateriali), oppure i servizi "finanziari", ossia gli interessi sul debito pubblico contratto. Tra le fonti di entrata per lo Stato, abbiamo detto esservi le imposte, la cartamoneta, il debito pubblico.
Ma cosa implica la scelta dell'uno piuttosto che dell'altro strumento, e quali effetti produce?
Le imposte tolgono disponibilità ai privati per le loro attività, ossia risparmi e consumi. Maggiori sono le imposte, minore sarà il risparmio privato (determinando una diminuzione delle risorse economiche disponibili destinate all'investimento da parte del sistema produttivo) e minore anche il consumo, che determina la domanda aggregata la quale a sua volta ha ripercussioni sull'insieme della produzione nazionale.
Per uno Stato, battere moneta per finanziare le proprie spese comporta un aumento dell'inflazione (in tutti i casi in cui non vi siano ampi margini di sottoutilizzo dei fattori della produzione), effetto indesiderabile nel lungo periodo, perché erode il potere d'acquisto di salari e stipendi, fa aumentare i tassi di interesse e indice alla lunga sullo stati di salute del sistema produttivo. L'aumento della moneta deve essere gestito in misura armonica con l'aumento delle capacità produttive complessive ed i bisogni del sistema.
Il ricorso al debito pubblico comporta invece diversi effetti: innanzitutto non sottrae risorse alla componente del consumo privato, ma solamente a quella del risparmio. Semplificando il ragionamento, non avrà effetti diretti sul livello della domanda aggregata ma solo sul livello delle risorse disponibili per gli investimenti, sottraendo possibilità per una crescita di lungo periodo per le attività produttive. In secondo luogo non "toglie" reddito ma "ridistribuisce" il reddito. In pratica mette in capo a ciascun componente della collettività una somma di debito, e contemporaneamente mette in capo ad alcuni e solo ad essi (i sottoscrittori dei titoli del debito pubblico) un diritto corrispondente, ed in più, una quota pari agli interessi. Non solo per ragioni politiche, ma anche per fattori economici è dunque preferibile ricorrere al debito pubblico anziché all'imposizione fiscale. Innanzitutto per finanziare investimenti pubblici, al pari di quelli privati: essi genereranno direttamente o indirettamente aumenti del prodotto interno e dunque, di conseguenza, maggiori imposte nel lungo periodo. Secondariamente non ha effetti sulla domanda aggregata e non toglie "benzina" all'economia in presenza di un sistema che giri più piano rispetto alle proprie potenzialità. Infine, il debito pubblico permette di impegnare grandi quantità di risorse economiche senza averne sempre la disponibilità: come per una famiglia contrarre un mutuo permette di dilazionare l'acquisto della casa su più esercizi senza dissanguarsi in quello corrente, così per lo Stato è possibile avere molte risorse immediate senza mandare in crisi il sistema produttivo privato.
Ma è sugli impieghi del debito che si gioca la partita della sua utilità.
Se nel corso di eventi eccezionali esso è uno strumento per fare fronte alle emergenze, e dunque ogni impiego è utile, nei momenti di normalità esso dovrebbe essere usato con giudizio, per finanziare attività, beni o servizi i quali permettano al sistema di crescere affinché nel futuro, le tasse incamerate e la possibilità di stampare moneta possano ripagare in equilibrio l'esborso attuale per gli interessi. Così il debito pubblico ha senso se il suo impiego è destinato a favorire la crescita economica di un paese, cioè per finanziare le spese di investimento. Meno accettabile è il suo utilizzo per il finanziamento delle spese correnti, ed ancora meno accettabile per il pagamento degli interessi sul debito pubblico medesimo. Questi ultimi due casi sono simili a quelli della famiglia "cicala" che si indebita fortemente per pagarsi le vacanze, o, ancora peggio, che si indebita per pagare gli interessi sul debito già contratto!
Se la prima di queste due situazioni è dannosa, nel secondo caso essa conduce direttamente alla bancarotta del soggetto nel lungo periodo. Il debito pubblico è virtuoso solo se esso è funzionale alla crescita del sistema economico di un paese: lascia alle generazioni future non un onere (un debito monetario), ma un beneficio (benessere economico).

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